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Il vaccino anti-Covid 19

Vaccino sì o vaccino no? Sono un po’ combattuto da questa scelta perché, per un verso, non vedo l’ora di ritornare alla normalità, per un altro, nutro qualche timore rispetto alla velocità con cui è stato testato il vaccino. Potrei andare incontro a reazioni allergiche o ad altre problematiche? Ma poi, le lo farò, sarò immune per sempre? Insomma, essere tranquillizzato.
Giulio G._ Pieve di Soligo (Tv)

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Era il 1796 quando, grazie all’intuizione geniale di un medico inglese che si chiamava Edward Jenner, iniziava la storia della vaccinazione. All’epoca non si aveva idea di cosa fossero realmente le infezioni, si ignoravano virus, batteri e sistema immunitario, eppure ci si trovava di fronte a una delle più grandi conquiste della medicina, che avrebbe portato nel 1980 all’eradicazione del vaiolo dalla faccia della terra, nel 2020 a debellare la poliomielite nel continente africano così come a tenere a bada una lista molto lunga di altre malattie infettive.

Il vaccino contro il Covid-19 è uno dei pochissimi strumenti disponibili per controllare questa infezione virale che sta funestando le nostre vite, le nostre relazioni, le nostre attività lavorative. I vaccini sono preparati biologici costituiti da minime quantità di microorganismi privati della capacità infettante o da alcuni loro antigeni o ancora da componenti di questi stessi microorganismi ottenuti per sintesi. Una volta somministrati, i vaccini evocano una risposta da parte del sistema immunitario simile a quella causata dall’infezione naturale, senza però causare la malattia. Imitano dunque quanto accade spontaneamente; sappiamo infatti che, nel caso di alcune infezioni come ad esempio il morbillo, chi ha già contratto la malattia non si ammalerà più di quella stessa malattia in futuro. La spiegazione risiede nella memoria immunologica, cioè nella capacità che ha il nostro sistema immunitario di “ricordare” i patogeni che ha già incontrato e di rispondere in maniera più rapida, vigorosa ed efficace a un secondo contatto.

Sappiamo che, nel caso di alcune infezioni come ad esempio il morbillo, chi ha già contratto la malattia non si ammalerà più di quella stessa malattia in futuro

Da quando, circa un anno fa, è stata svelata la sequenza genetica del virus SARS-CoV-2, scienziati di tutto il mondo hanno collaborato per sviluppare il prima possibile un vaccino che, dopo una fase di sperimentazione che ne ha dimostrato sicurezza di impiego, efficacia e qualità, a dicembre scorso è stato approvato dalle agenzie di controllo internazionali consentendo l’inizio delle campagne di vaccinazione di massa. Questo primo vaccino contro COVID-19 si basa sulla tecnica dell’RNA messaggero, una tecnica studiata da almeno 15 anni. I ricercatori dopo aver analizzato l’informazione genetica del virus, hanno isolato le “istruzioni” (cioè l’RNA messaggero) per sintetizzare la proteina spike che consente al virus di legarsi alla superficie delle cellule umane e che rappresenta uno dei bersagli principali della risposta immunitaria. Questo messaggio è stato inserito in capsule di grasso che, inoculate tramite il vaccino, si fondono con le pareti delle nostre cellule costituite anch’esse da sostanze grasse e liberano le istruzioni che vanno direttamente alla “fabbrica delle proteine” della cellula, il cosiddetto ribosoma. Il “messaggero” pertanto non è in grado di modificare il codice genetico perché non ha “istruzioni” per interagire con il DNA né entra mai nel nucleo della cellula che è la parte che contiene l’informazione genetica. Inoltre, l’RNA messaggero si degrada dopo pochi giorni, una volta eseguito il suo “compito” che è è quello di dare istruzioni al ribosoma per sintetizzare proteine simili alla proteina spike del virus, proteine che, una volta prodotte e riconosciute come estranee dalle cellule del sistema immunitario, evocano la produzione di anticorpi specifici. A questo punto l’organismo ha gli strumenti e la memoria per difendersi in caso di contatto con SARS-CoV-2. I risultati degli studi che hanno portato alla registrazione dei vaccini utilizzati oggi (17 gennaio 2021) in Italia e che sono Comirnaty di Pfizer-BioNtech e il vaccino Moderna hanno dimostrato che due dosi somministrate a distanza di 21 giorni l’una dall’altra possono impedire a circa il 95% degli adulti dai 16 anni in poi di sviluppare la malattia COVID-19 con risultati sostanzialmente omogenei per classi di età, genere ed etnie. Le reazioni avverse osservate più frequentemente negli studi clinici e nella iniziale esperienza e registrate dall’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) sono dolore, gonfiore e/o arrossamento nel sito di iniezione, stanchezza, mal di testa, dolore ai muscoli e alle articolazioni, brividi e febbre o più raramente ingrossamento dei linfonodi in genere tutti sintomi di entità lieve o moderata e che si sono risolti entro pochi giorni dalla vaccinazione. Come per tutti i farmaci e vaccini sono inoltre possibili, seppur rarissime, reazioni di tipo allergico fino allo shock anafilattico. La sorveglianza a lungo termine della malattia e delle persone vaccinate mostreranno se la protezione vaccinale è di lunga durata o se saranno necessarie ulteriori dosi di richiamo, e se il vaccino impedisce a una persona vaccinata di trasmettere l’infezione.

Buon viaggio!

Annagiulia Gramenzi
Annagiulia Gramenzi
Ricercatore Dip. medicina clinica Univ. Bologna
Scrivete a Annagiulia Gramenzi: salute@uominietrasporti.it

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