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Il possibile futuro di Federtrasporti: I tre piani dell’aggregazione

Si può stare insieme all’interno di un’associazione per tutelare sul piano politico la cultura aggregativa. Oppure per riuscire a garantire agli associati una gamma di servizi a condizioni migliorative rispetto a quelle di mercato. Ma secondo il presidente di Federtrasporti, Claudio Villa, gli attuali trend impongono alle realtà aggregate di «fondersi» in un’unica società e di stringere relazioni con altri partner per realizzare progetti comuni su altri anelli della catena logistica

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Le piccole imprese di autotrasporto tendono a diventare sempre meno e le grandi aumentano sempre di più il loro spazio sul mercato. In mezzo ci sono le strutture aggregative, quelle sorte a migliaia già a partire dagli anni Sessanta per creare una casa comune a tante realtà di ridotta dimensione, in grado di funzionare come un’unica interfaccia di fronte alla committenza. Ma oggi che le aziende con pochi camion arrancano e il più delle volte chiudono i battenti per raggiunti limiti di età dove trova la realtà aggregata la sua ragion d’essere? E nel confronto con imprese dotate di fatturati e organizzazioni straordinariamente importanti, dove attinge la propria capacità competitiva?

Claudio Villa, al termine di tre mandati alla guida del Gruppo Federtrasporti e con alcuni decenni di esperienza nella gestione di una cooperativa di taglia larga (con più di 170 camion) come la Conap di Fiorenzuola d’Arda (PC) ci pensa un po’ prima di rispondere. Poi inizia con un distinguo. «Il fenomeno esiste, ma impatta in modo differente sui diversi livelli di aggregazione. Rispetto alle strutture di base si manifesta ormai da alcuni anni come erosione della base aggregativa, causata essenzialmente da un mancato ricambio generazionale. Gli associati che arrivano alla pensione, cioè, contrariamente a quanto accadeva nei decenni scorsi, non passano quasi mai il testimone ai propri figli, per il semplice motivo che questi preferiscono a fare altro».

Tralasciando in questa sede le ragioni di tale fuga verso altri settori, come si tamponano le falle che si vengono a creare?

La prima soluzione che sempre più cooperative adottano per non perdere fatturato è quella di fornire la stessa struttura aggregativa di un parco veicolare di proprietà. È un modo per strutturarci e per continuare a crescere, ma è insufficiente e soprattutto non funziona nelle strutture di secondo livello come Federtrasporti.

Perché, rispetto a Federtrasporti cosa servirebbe?

Originariamente l’aggregazione di enti a loro volta aggregati serviva a creare un unico biglietto da visita da spendere all’esterno, a presentarsi come un unico interlocutore. Poi, una volta acquisiti i traffici, questi venivano distribuiti tra i vari associati. Oggi tutto questo continua a essere utile, ma non è sufficiente. In molti ambiti di mercato diventa necessario che almeno determinate strutture creino un’unica realtà edificata con un cemento aggregativo più solido e stabile.

Se questo cemento funziona soltanto in alcuni ambiti e rispetto a determinate strutture, significa che i piani di aggregazione possono essere diversi?

Esattamente. Per essere precisi, ritengo debbano essere tre i piani su cui può applicarsi la funzione aggregativa. Il primo è quello dell’associazione, utile a diffondere la cultura aggregativa e a crearle opportunità in ambito politico e istituzionale, anche in vista della tutela degli associati. Una sorta di attività lobbystica in senso buono che trova sponde importanti nei servizi editoriali del Gruppo, primo tra tutti quelli che passano attraverso Uomini e Trasporti.

E il secondo piano?

È quello legato alla vendita dei servizi, al cui interno un ruolo essenziale è affidato all’agenzia di assicurazione, che da sempre fornisce le sostanze necessarie per tenere in equilibrio finanziario l’organizzazione. È un piano importante perché il fatto di gestirlo con spirito cooperativistico e con senso di mutualità ci ha permesso di compensare una piccola maggiorazione di spesa, attraverso il desiderio di stare uniti e l’orgoglio di disporre di strutture che ognuno poteva sentire come proprie. Nel corso del tempo, però, il piano dei servizi rischia di non essere più sufficiente a giustificare l’ingresso in Federtrasporti da parte di nuove società. Per la semplice ragione che sono sempre più numerose le strutture che, almeno in parte, forniscono questo tipo di aiuto.

Ed è proprio per questa ragione che serve il terzo piano?

È un piano che impone il mercato. Se ci si guarda intorno, infatti,appare chiaro che una struttura con 100 o 200 macchine riesce a stare sul mercato soltanto se si specializza in un segmento di nicchia, caratterizzato da lavori molto particolari. Al di fuori di questi settori, però, ritengo sia necessario dotarsi di un modello organizzativo diverso e creare tra le strutture più rappresentative, quelle maggiormente legate alla storia e alla logica identitaria di Federtrasporti, un’unica realtà societaria. Le altre strutture non interessate a questo salto possono limitarsi agli altri piani aggregativi, ma per “salire” su questo è necessario impegnarsi nel creare un contenitore da riempire con i contratti di tutte le realtà aggregate, da onorare poi tramite i 700 e più camion nella loro disponibilità. E il primo sforzo in tal senso è quello di mettere da parte le proprie individualità e rimuovere eventuali frizioni presenti nei rapporti tra associati.

E questi contenitori dovrebbero contenere soltanto aziende attive nello stesso ambito mercelogico?

Non necessariamente. Una conseguenza vincente dell’aggregazione è anche l’opportunità di disporre di una presenza territoriale diffusa, di soddisfare cioè quella capillarità sempre più richiesta negli attuali modelli distributivi. E allora se si creasse un’unica società con gli aggregati attivi nel cisternato, non è detto – per esempio – che non possa parteciparvi e che non diventi funzionale la presenza di una struttura pugliese attiva nel cassonato. Perché ci sono tanti lavori legati a una “stagionalità” riferita alla tipologia di semirimorchio da utilizzare. E quindi se gli altri associati hanno un viaggio in quell’area ma non hanno la possibilità di ricaricare, lascio il mio rimorchio lì, ne prendo uno della struttura pugliese e vado a fare il mercato.

E in termini organizzativi come ritiene si debba operare?

Questo è un punto nevralgico. Perché innanzi tutto per rimuovere l’instabilità della governance che segna molte strutture aggregative, sarebbe opportuno che tutte insieme individuino un amministratore delegato. Una figura altamente competente, che magari singolarmente non avrebbero potuto permettersi, ma che diventa uno dei benefici frutto dell’aggregazione. Inoltre, nell’operatività pratica sarebbe opportuno specializzare fin dove possibile le diverse realtà aggregative, affidando per esempio l’amministrazione a una, la gestione della flotta a un’altra e così di seguito. Ma soprattutto dovremmo cercare di evitare quella criticità, spesso verificata nei fatti, coincidente con la doppia provvigione, quella cioè da pagare sia alla struttura di primo livello sia a quella di secondo, perché quando si partecipa a tender del valore di diversi milioni anche quei pochi punti percentuali finiscono per metterti fuori mercato.

Fin qui abbiamo ragionato di un’organizzazione orizzontale, costruita dall’aggregazione di realtà impegnate nella stessa attività. Ma l’autotrasporto è sempre di più interconnesso con altri anelli della catena logistica. Come si fa a trasferire anche su scala verticale la logica aggregativa?

Rispondo con un esempio pratico, un progetto che stiamo definendo a Ravenna, dove il piano aggregativo spazia in modo trasversale. Nel senso che mira a mettere insieme interessi di diverse strutture, coinvolgendo allo stesso tempo investitori e clienti, per realizzare un’area retroportuale molto prossima al porto in cui sviluppare attività logistiche diverse. E per forza di cose se operi in un porto e devi preoccuparti di trasferire da qui le merci non soltanto via strada, ma anche via treno, sarà necessario stringere relazioni strette anche con realtà in grado di gestire queste diverse modalità. Sarebbe molto utile, a titolo di esempio, unire al trasporto intermodale anche lo stoccaggio dei tank container, che oggi trovano sempre meno posto all’interno di terminal intasati e che quindi potrebbe incontrare una buona domanda di mercato. Ritengo quindi opportuno che, laddove l’attività spazia in tanti ambiti, la gestione di ogni momento sia affidata a realtà specializzate.

Questa logica aggregativa distribuita su altri anelli e che fa leva anche su altre modalità di trasporto comporterà un allargamento del perimetro operativo di Federtrasporti?

Gli conferirà maggiore respiro internazionale. D’altra parte non è un caso se negli ultimi anni abbiamo aperto un ufficio a Bruxelles e se anche da lì cerchiamo di sfruttare l’opportunità per fruire di finanziamenti utili a realizzare progetti in grado di rendere più solida la Federtrasporti e quindi in grado anche di operare insieme a partner altrettanto forti.

Redazione
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La redazione di Uomini e Trasporti

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