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Quando la nuova generazione diventa femminile. Di padre in figlia

Cosa succede quando a prendere il timone dell’azienda di famiglia è la figlia femmina? Quali aspettative e quali difficoltà bisogna affrontare? E soprattutto, cosa succede se la figlia decide di prendere la propria strada? Ce lo raccontano donne di successo la cui storia, però, è molto differente

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Più della metà degli eredi che prendono in mano le redini dell’azienda di famiglia sono uomini con un’età compresa tra i 41 e i 55 anni. Il dato – 63%, per la precisione – non è nuovo, ma risale al Report Cerif dell’Università Cattolica del 2018. Negli ultimi anni, però, l’interesse per le aziende a guida femminile è cresciuto, così come fotografa anche il Rapporto annuale 2023 di Istat: le imprese femminili attive in Italia nel 2020 rappresentano il 27,6% del totale. Ancora poche, è vero, ma pur sempre in crescita rispetto, per esempio, al 12,2% registrato nel Rapporto 2017.

Sonia e Serena Primiceri, donne in un’azienda di “fratelli”

Insomma, il timone nelle aziende familiari passa ancora generalmente di padre in figlio, ma non mancano i segnali incoraggianti e, soprattutto, non mancano le eccezioni. Una di queste è la Trasporti F.lli Primiceri: fondata nel 1957 da Rocco Primiceri, a guidarla dal 2004 è sua figlia Sonia, la più piccola di sei fratelli (di cui quattro uomini). E il risultato è indubbiamente un successo: oggi l’azienda conta oltre 70 dipendenti, di cui 45 autisti. «La cosa più scontata, essendo la figlia più piccola – spiega Primiceri – era che io mi mettessi da parte. I miei fratelli, invece, mi hanno sempre supportata e non mi hanno mai fatto pensare che questo mondo, in quanto donna, non potesse appartenermi». Se la notizia è che l’azienda è stata affidata alla figlia più piccola, sorprenderà ancora di più che a volerlo fu il nonno: «Ricordo una bellissima conversazione con lui durante la quale mi disse che avrei dovuto portare avanti la parte documentale dell’azienda, un messaggio che mio padre ha accolto e raccolto. Mi è stata affidata una direzione, così come è stata affidata ai miei fratelli, ognuno dei quali, oggi, ha un suo ruolo e gestisce un asset aziendale. Le posizioni di ciascuno sono venute in maniera naturale, indipendentemente dal genere, ma soltanto sulla base delle proprie vocazioni e attitudini. Questo è stato possibile perché i nostri genitori sono stati bravi a instradarci, così come ci auguriamo di fare noi oggi con i nostri figli e nipoti».

L’ingresso delle nuove generazioni – la terza, per la precisione – è diventato infatti l’elemento distintivo della Trasporti F.lli Primiceri: dei quattordici nipoti di Rocco, dieci hanno già varcato i cancelli aziendali. La prima a farlo, neanche a dirlo, è stata proprio una donna: Serena Primiceri, oggi responsabile commerciale dell’azienda di Casarano. «A farmi innamorare di questo mestiere è stato mio padre e oggi posso presentarmi con orgoglio come “la figlia di Luigi Primiceri”, ma sento anche il senso di responsabilità legato a questo cognome. Quando un figlio o una figlia subentra in azienda, la professionalità non viene data per scontata, ma bisogna fare uno sforzo in più per dimostrare di non essere solo “figlio/a di qualcuno”. La nostra sfida è doppia: da una parte portare avanti la tradizione familiare, dall’altra riuscire comunque a portare innovazione». “E il segreto per farlo – conclude Sonia Primiceri – è educare le nuove generazioni supportandole in questo processo, affiancandole, ma senza illuderle».

Roberta Cippà, il vantaggio di essere la sfavorita

Ogni storia, però, è a sé. Se nel caso della Trasporti F.lli Primiceri il ricambio generazionale ai vertici aziendali è avvenuto da padre a figlia come un processo naturale, un’esperienza diversa è quella di Roberta Cippà Cavadini. Figlia del fondatore della Cippà Trasporti – azienda attiva nel Canton Ticino e in Italia nel trasporto merci, logistica e operazioni doganali – è CEO dell’azienda dal 1985. «Nel mio caso – racconta – il passaggio di timone da mio padre a me è stato influenzato da una serie di fattori, tra cui la percezione tradizionale del ruolo di genere. Mio padre era dell’idea che le donne dovessero principalmente occuparsi della famiglia e della casa. Questa visione ha avuto un effetto liberatorio su di me, in quanto le aspettative nei miei confronti erano praticamente nulle. In un settore come la logistica, che è ancora prevalentemente maschile, questo ha rappresentato un vantaggio inaspettato. Essere “il figlio o la figlia del capo” è uno dei ruoli più difficili da gestire in un’azienda. La pressione per eccellere è immensa, proveniente sia dal genitore che da colleghi e clienti. Questa aspettativa di alta performance è presente fin dall’inizio della carriera. Tuttavia, la mancanza di aspettative predefinite, soprattutto in anni decisamente più “lenti”, mi ha permesso di sviluppare le mie competenze e il mio stile di leadership in modo più organico e meno stressante». Un esempio – che potremmo definire da manuale – di trasformazione di quello che apparentemente è percepita come una barriera in una risorsa.

Melissa Camanini, come il padre ma senza il padre

C’è poi un terzo caso, quello in cui la figlia fa propria la passione del padre, ma non l’azienda. «Ho deciso di seguire la mia strada», racconta Melissa Camanini, classe 1993 e figlia di Silvio Camanini, presidente del Consorzio GAM di Mantova. Melissa oggi lavora come responsabile tecnico-commerciale di un’azienda del bergamasco, ma ha anche una sua piccola realtà di autotrasporto composta da due camion e due autisti. «Covavo l’idea già da un po’, ma fu solo alla fine di agosto del 2018, di ritorno da un viaggio estivo, che trovai il coraggio di comunicare la scelta a mio padre. Ci rimase sicuramente male da un punto di vista lavorativo, gli sarebbe piaciuto inserire persone giovani in azienda, ma dal punto di vista umano mi ha sempre supportata. Mio padre è una buona guida e un grande aiuto, ma sono consapevole dei miei sacrifici». Per un breve periodo Melissa ha anche lavorato nel GAM come supporto commerciale: «Il consorzio è una famiglia per me, ma mi sono sempre sentita un po’ stretta nel ruolo della “figlia di”. Per quanto sia stato difficile comunicare le mie decisioni, sapevo che la cosa migliore per me era allontanarmi da quel ruolo. Con la mia azienda sono rimasta socia del Consorzio, ma a trent’anni ho imparato che la mia felicità non me la può togliere nessuno».

Questo articolo fa parte del numero di novembre 2023 di Uomini e Trasporti: uno speciale monografico di 64 pagine interamente dedicato al tema del passaggio generazionale nelle aziende di autotrasporto.

Leggi l’editoriale: I giovani sono fannulloni? E mo’ basta! 

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