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Perché si mangia? Non sempre la risposta è «la fame»

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Il 16 ottobre 1945 fu una data che segnò la storia delle Nazioni Unite: in quel giorno ben quarantadue Paesi di tutto il mondo si riunirono in Canada e istituirono la FAO, Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura.
Perché lo fecero? Per raggiungere un obiettivo ambizioso: agire contro la fame e la malnutrizione nel mondo e, nel contempo, occuparsi del sistema alimentare globale.
Da allora, il 16 ottobre si celebra non solo la nascita della FAO, ma anche la Giornata Mondiale dell’Alimentazione, in cui si svolgono una serie di iniziative in tutto il mondo volte a diffondere sia una maggiore consapevolezza alimentare e sulla lotta contro la fame, sia a promuovere la sicurezza alimentare.
Anche noi vogliamo fornire il nostro contribuito a questa Giornata Mondiale parlando di consapevolezza alimentare e, anche, proponendo un sondaggio agli autotrasportatori, una categoria che – non per scelta – ha uno stile di vita sedentario e, sovente, identifica il cibo come fonte di benessere e di soddisfazione.

Che cosa si intende per «consapevolezza alimentare»?

Possiamo definirla come il prestare attenzione a cosa (che tipo di alimento è, da dove proviene, ecc.) e a come (in che modo, in che luogo, ecc.) si mangia, mettendo in secondo piano il concetto di “quanto” si mangia. Sostanzialmente è l’esserci, l’essere presenti, mentre si mangia, attenti cioè a cosa il nostro corpo ci comunica mentre mangiamo, alle emozioni che stiamo proviamo in quel momento, al sapore, al profumo, al colore del cibo che stiamo mangiando, ai comportamenti automatici che mettiamo in atto e che possono portare ad abitudini errate e poco salutari.

Proviamo a pensare a quante volte mangiamo distrattamente, senza nemmeno vedere ciò che c’è nel piatto, magari perché abbiamo una pausa pranzo “lampo”. O perché siamo davanti allo schermo di un cellulare o a consultare un programma lavorativo che impatta sul nostro stato d’animo, al punto da innervosirci o rattristarci e a spingerci inconsapevolmente a mangiare di più o di meno. Ecco, una buona consapevolezza alimentare aiuta nel prestare attenzione a queste situazioni e a focalizzarsi sullo stimolo della fame chiedendosi: «Ho ancora fame? Ho davvero fame o sto mangiando perché sono nervoso?»

Quindi significa essere perennemente a dieta?

Assolutamente no! La consapevolezza alimentare è un discorso molto più complesso del limitarsi a contare le calorie presenti in ogni singolo alimento che si mangia, in quanto riguarda il rapporto in generale che abbiamo con il cibo.

Quali benefici si traggono dall’avere una buona consapevolezza alimentare?

Sono molteplici, soprattutto se si vuole mantenere il peso nel tempo e seguire un’alimentazione equilibrata per il corpo e per la mente.
Essere consapevoli, infatti, permette di avere un quadro ben preciso di cosa si mangia durante il giorno, individuando, per esempio, quei fuori pasto poco salutari (come le caramelle o gli snack da fame nervosa) e, quindi, individuare dove intervenire per migliorare il regime alimentare. Ma anche capire la reale quantità di cibo che ci occorre per essere sazi (quante volte si è sazi molto prima di terminare ciò che si ha nel piatto perché si è fatta una porzione troppo abbondante?). Oppure per avvertire il senso di fame, in quanto a volte si mangia senza avere realmente fame, ma solo per noia o per stress. O, ancora, per rendersi conto se il proprio regime alimentare è disordinato e debba essere modificato (e quindi a capire, magari, perché non si riesce a perdere peso anche se si pensa di seguire un’alimentazione sana ed equilibrata) e, infine, per dimagrire imparando a mangiare in modo sano e duraturo nel tempo.
Insomma, è la base per rimettersi in forma e stare bene.

Curiosità: il taccuino tagliachili

Uno studio scientifico effettuato dall’Oregon Health & Science University nel 2016 ha coinvolto 1.700 persone per tre anni. Ai partecipanti fu prescritto un regime alimentare con cibi a basso contenuto di grassi e di consumare molta frutta e verdura; inoltre, dovevano svolgere regolare attività fisica per almeno mezz’ora al giorno. Infine, era chiesto loro di compilare un diario alimentare per annotare i cibi consumati.
Dopo sei mesi, i partecipanti che si erano annotati nel diario i cibi assunti tutti i giorni avevano perso il doppio del peso rispetto a coloro che non annotavano giornalmente i cibi consumati. Questo perché i primi avevano mostrato una maggiore consapevolezza alimentare rispetto ai secondi, dimostrando la capacità di intervenire attivamente sulla propria alimentazione.

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