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Ex-Ilva, l’autotrasporto in agitazione: «Senza risposte immediate di Arcelor si va al fermo dei servizi»

Le aziende di autotrasporto, già scottate con la precedente gestione, attendono ancora i pagamenti per servizi già prestati. Ecco perché le principali associazioni di categoria entrano in una fase di agitazione pretendendo però risposte celeri e satisfattive. Perché in caso contrario si passerà a iniziative di protesta mirate

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Sulla vicenda ex-Ilva, ormai, la misura è quasi colma. Diciamo “quasi” perché un po’ tutte le principali associazioni di categorie – vale a dire, Anita, Confartigianato Trasporti, FAI-Conftrasporto, FISI, Fita-CNA – hanno scritto al governo per annunciargli l’inizio di uno stato di agitazione finalizzato a tutelare le tante imprese che ancora attendono il pagamento servizi di trasporto forniti ad Arcelor Mittal, ma già fin d’ora chiariscono che, in mancanza di risposte soddisfacenti e immediate da parte della multinazionale dell’acciaio, si entrerà in una seconda fase caratterizzata da iniziativa di protesta mirate e quindi anche di un fermo dei servizi.

I punti di doglianza dell’autotrasporto in questo caso sono essenzialmente tre.

Il primo, a cui abbiamo fatto in parte riferimento, riguarda i mancati pagamenti di trasporti già effettuati e rispetto ai quali erano stati presi impegni poi disattesi. Peraltro molte aziende di autotrasporto si sono già scottate con la precedente gestione, non essendo riuscite a recuperare le somme di cui avevano diritto.

Il secondo punto riguarda la posizione di forza di Arcelor Mittal rispetto ai propri fornitori, cosa che «le ha consentito di ingenerare un intollerabile sbilanciamento in proprio favore nella definizione dei rapporti contrattuali, al punto da cagionare in alcuni casi l’esclusione unilaterale di imprese che da sempre collaboravano con il siderurgico».

Il terzo punto riguarda le incognite sul futuro, anche perché l’atteggiamento dilatorio e la carenza di punti di riferimento fissi nell’interlocuzione circa le questioni aziendali, «getta un’ombra di persistente incertezza su un futuro già di per sé complesso, rendendo il clima di lavoro insopportabile e la preoccupazione degli imprenditori non oltre sostenibile». 

Ricordiamo che nei giorni scorsi Arcelor Mittal e il governo avevano trattato per ragionare sul futuro assetto societario della società, prevedendo anche l’ingresso di una società pubblica – Invitalia – con una quota iniziale del 50 per cento che dovrebbe essere portata poi al 60 a partire dal 2022, tramite un investimento quantificato in circa 2,1 miliardi.

Redazione
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La redazione di Uomini e Trasporti

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