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I giudici amministrativi danno torto all’autotrasporto. Un buon consiglio. per l’ART

Per il Consiglio di Stato anche l’autotrasporto dovrà pagare il contributo all’Autorità dei trasporti, ma solo dal 2019 perché il decreto Genova ha ampliato la platea dei contribuenti ai servizi logistici e l’autotrasporto fa parte comunque della filiera. Protestano le associazioni che pensano a un ricorso europeo e chiederanno al nuovo governo di correggere la norma

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Il bicchiere si può vedere mezzo pieno o mezzo vuoto. Il bicchiere, in questo caso, è il Consiglio di Stato che, con una serie di pronunce emesse nei primi giorni dell’anno, da una parte (il bicchiere mezzo pieno) ha stabilito che gli autotrasportatori che hanno pagato il contributo chiesto dall’Autorità per la Regolazione dei Trasporti (ART) dovranno essere rimborsati fino a tutto il 2018; dall’altra (il bicchiere mezzo vuoto) che dal 2019, in virtù del cosiddetto «decreto Genova», tutti gli autotrasportatori saranno obbligati a pagarlo. Anche quelli che non lo hanno fatto, confidando nella sentenza della Corte Costituzionale che, nel 2014, ne aveva sancito l’incostituzionalità (erano tenuti a pagare solo i «gestori delle infrastrutture e dei servizi regolati»), portando a sei le bocciature del TAR per le richieste di contributo avanzate dall’ART nei confronti degli autotrasportatori dal 2014 in poi.

Il fatto è che, nel clima caotico ed emozionale seguito al crollo del ponte Morandi, qualcuno era riuscito a infilare nel decreto che stabiliva le procedure per una rapida ricostruzione e i ristori per i soggetti danneggiati, una norma (art. 16) che amplia la platea dei finanziatori dell’Autorità agli «operatori economici operanti nel settore dei trasporti». Italiano a parte, è a queste parole che si è aggrappato l’ART nel suo ricorso al Consiglio di Stato, che alla fine gli ha dato ragione, sostenendo che «i servizi di trasporto di merci regolati sono principalmente quelli connotati da servizi logistici integrati, cioè i servizi di autotrasporto merci integrati con porti, stazioni ferroviarie, aeroporti e nodi di scambio intermodale (interporti)» e che il decreto Genova ha fatto sì che «non occorre più ricercare il soggetto passivo dell’obbligo contributivo nel singolo operatore direttamente colpito dal provvedimento adottato dall’Autorità, dovendosi piuttosto appurare l’appartenenza in generale dell’operatore al mercato di riferimento inciso dall’attività regolatoria».

Poi, quasi per indorare la pillola, ha precisato che prima di quel decreto il potere di regolazione esisteva già, ma non c’era ancora l’obbligo al contributo (introdotto secondo il Consiglio di Stato dal decreto Genova) per «vettori marittimi ed aerei, i terminalisti portuali nonché gli autotrasportatori e operatori della logistica», tutte categorie che nel corso degli anni si sono sempre opposte al pagamento. E dunque chi ha pagato fino al 2018 va rimborsato, ma dal 2019 sono obbligati a pagare tutti. E non sono cifre da poco (vedi box).

Una riunione plenaria

Forte l’irritazione delle associazioni dell’autotrasporto. «È una sentenza che grida vendetta», sbotta il segretario generale di Conftrasporto, Andrea Manfron, «basata su una sorta di incomprensibile proprietà transitiva: dato che utilizziamo infrastrutture regolate, saremmo regolati anche noi». Giuseppina Della Pepa, segretario generale di Anita, è d’accordo: «Una sentenza inaspettata e difficile da digerire che impatta sulla competitività e lo sviluppo del sistema logistico e dei trasporti italiano». E le altre associazioni sono tutte sulla stessa linea: quella della «tassa insopportabile».

Per decidere cosa fare tutte e 13 le rappresentanze presenti nell’Albo degli autotrasportatori si sono riunite martedì 26 gennaio. Da un primo esame – soprattutto di carattere tecnico – della situazione, è emerso che dal punto di vista legale i margini sono diventati molto stretti. Il Consiglio di Stato è la seconda istanza amministrativa ed è quella definitiva. L’alternativa è un ricorso alla Corte europea di giustizia, ma da una parte ne vanno studiate bene le forme, dall’altra si tratta di intraprendere un percorso sicuramente molto lungo.

L’altra strada da percorrere è quella dell’iniziativa politica. La richiesta di una norma che escludesse chiaramente e definitivamente l’autotrasporto da quella che è considerata un’ulteriore tassa non è di oggi. Il secondo governo Conte si era impegnato a formalizzare la norma con un emendamento al decreto Semplificazioni varato nel luglio 2020. Ma la traballante maggioranza costrinse a un voto di fiducia che impedì ogni modifica.

È soprattutto questo il terreno che le associazioni intendono battere. «Dobbiamo intervenire sul piano politico con molta energia», reagisce Claudio Donati, segretario generale di Assotir. «Anche perché altrimenti passa un principio in base al quale possono mettere questa tassa non solo sui trasportatori con fatturati inferiori, ma anche su qualunque privato usi l’autostrada con la propria automobile». E Della Pepa aggiunge: «Come possiamo pensare che le nostre imprese possano realmente essere competitive se continuano a essere gravate da oneri – in questo caso pure ingiusti – che ne frenano lo sviluppo? Sarà quindi necessaria una profonda riflessione a tutto tondo che dovrà inevitabilmente coinvolgere governo e parlamento». Manfron conferma: «La norma contenuta nel decreto Genova va modificata subito».

Già, subito. Il problema è che il bubbone è esploso in piena crisi di governo e, dunque, non solo per qualche tempo mancheranno gli interlocutori, ma è anche sospesa l’attività legislativa. E il bicchiere rischia di diventare sempre più vuoto.

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