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Pasquale Russo, Conftrasporto: «Il confronto deve essere continuo»

Il neo presidente dell’associazione conferma di aver riscontrato in questo esecutivo «una maggiore disponibilità», anche se «abbiamo più volte chiesto un confronto costante che purtroppo non c'è». E aggiunge: «Dobbiamo far comprendere alla politica che il nostro mondo è tra i settori più importanti per il Paese», perché solo così, capirà di doverci ascoltare, nell’interesse di tutti

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Verrebbe da dire che è un’eredità pesante. Perché non può essere facile sostituire alla presidenza di Conftrasporto un personaggio come Paolo Uggè, protagonista di innumerevoli battaglie dell’autotrasporto fin dagli anni Ottanta del secolo scorso, sottosegretario ai Trasporti nel terzo governo Berlusconi e presidente di Conftrasporto appunto dal 2015, salvo un breve intervallo. Un compito reso, peraltro, ancor più difficile dal groviglio di problemi che tormentano l’autotrasporto e che di giorno in giorno aumentano di numero e rilevanza. Ma Pasquale Russo, 49 anni, napoletano, può mettere sul tavolo di aver sempre lavorato a fianco con Uggè fin dall’inizio del suo percorso, nella FAI degli anni Novanta e di aver competenze e qualità per passare dal ruolo di segretario generale a quello di presidente della Confederazione, aderente a Confcommercio, più rappresentativa del mondo dei trasporti e della logistica. Glielo ha riconosciuto l’assemblea di Conftrasporto che il 6 giugno scorso lo ha eletto con voto unanime a cui egli stesso ha risposto con una dichiarazione di continuità, «proprio per rispetto del lavoro fin qui compiuto in particolare da Uggè e da Fabrizio Palenzona».

Ma il mondo è cambiato. Anche e in particolare quello dell’autotrasporto, i cui problemi finora non sembrano aver trovato soluzione, visto che sono sempre gli stessi da almeno 40 anni. Non pensa che vada cambiato approccio per tutelare questo comparto?
È evidente che non ci si può più muovere come una volta, ma in realtà proprio Conftrasporto è un’espressione importante di quanto questi cambiamenti siano stati raccolti. Anche se c’è voluto tempo, siamo passati dalla rappresentanza di un singolo settore – quello dell’autotrasporto– a una molto più allargata, che si pone nei confronti delle istituzioni, con una visione più ampia che tiene conto delle esigenze anche delle altre modalità del trasporto e della logistica.

Quindi un po’ anche una risposta alla crisi delle rappresentanze: cambiare l’orizzonte, per risolvere i problemi.
Il modo di fare rappresentanza non può più essere quello di prima. Questo, però, non dipende solo da noi, ma anche dai nostri interlocutori istituzionali. Rispetto al passato c’è, anche da parte della politica, minore propensione ad ascoltare i corpi intermedi. Negli ultimi anni, i vari governi succedutisi hanno mostrato diverse sensibilità nell’affrontare i temi dei trasporti, ma tutti hanno minore capacità di ascolto. Per noi sarà, perciò, una sfida importante far comprendere alla politica che il mondo della logistica, delle imprese e quello delle infrastrutture, è tra i settori più importanti per il Paese, perché solo se la politica riuscirà a convincersi di questo, capirà di doverci ascoltare, perché lo farà nell’interesse di tutti e non di un solo comparto.

Con l’attuale governo, tuttavia, sembra esserci una migliore capacità di dialogo, anche se poi i risultati stentano a vedersi…
È quel che ho detto: cambia l’approccio, ma la sostanza è la stessa. È vero che in questo esecutivo abbiamo riscontrato maggiore disponibilità, ma è anche vero che abbiamo più volte chiesto un confronto costante e continuo, ma purtroppo devo dire che non c’è. Si è persa proprio quella continuità di rapporto che esisteva negli anni passati. Oggi si va avanti soprattutto a gestire emergenze, anche se su queste devo dire che il ministro Salvini ha dato comunque segno di attenzione e di impegno.

Si riferisce alla questione del Brennero?
Non solo. Sui problemi creati da Austria e Tirolo – non solo per l’autotrasporto, ma per il nostro scambio con l’estero – va riconosciuto che c’è un approccio molto più deciso, molto più convinto, molto più politicamente rilevante da parte del nostro governo, come dimostrano l’azione portata avanti presso la Commissione europea e il rapporto di sinergia creato con la Germania che ha i nostri stessi problemi. Ma anche sul costo del gasolio, seppure con difficoltà e tempi forse un po’ troppo dilatati, alcune risposte sono arrivate. Insomma, con questo governo non è mancato l’impegno nell’affrontare le emergenze, ma resta ancora il problema non secondario di assicurare una governance del settore più continuativa.

E il «tavolo delle regole»? Non doveva avere cadenza mensile?
Ne abbiamo visto uno tre mesi fa, quindi diciamo che forse sono trimestrali.

Nella vostra agenda dei rapporti con il governo cosa c’è al primo posto?
Come Conftrasporto, le questioni più urgenti sono due e riguardano la portualità: la modifica del Regolamento delle concessioni portuali – per la quale abbiamo presentato un pacchetto di proposte per adeguarle ai tempi della competizione delle imprese che operano in concessione all’interno dei porti – e la riforma del sistema portuale, sulla quale stiamo lavorando e sulla quale chiederemo un incontro al viceministro Edoardo Rixi per esporre le nostre osservazioni.

Sulla questione della transizione che sta portando, a livello europeo, a uno scontro durissimo tra i sostenitori del tutto elettrico e quelli dei biocarburanti, che ha per capofila l’Italia, non sembra ci sia molta attenzione da parte delle associazioni del settore.
Non è così. Proprio noi di Conftrasporto abbiamo dedicato alla questione gran parte del nostro ultimo forum, lo scorso novembre, preoccupandoci dei rischi che il modo in cui è stata impostata la transizione a livello europeo può creare per il nostro settore. E abbiamo coinvolto anche la più importante azienda nazionale di prodotti petroliferi, proprio per capire quanto possa essere realistica la strada di un carburante alternativo. Perciò abbiamo fatto sentire la nostra voce. Noi crediamo pochissimo all’elettrico: oggettivamente immaginare oggi una fonte energetica diversa da un carburante, qualsiasi cosa possa essere, ci pare un po’ velleitario. D’altra parte, su questo tema il governo sembra avere intessere e intenzione, con il rinnovo degli organismi comunitari, di riproporre la questione e di cercare di includere anche i biocarburanti tra le fonti energetiche utilizzabili anche dopo il 2035.

Altro tema scottante è l’ART che vuol far pagare alle imprese dell’autotrasporto un contributo che tutte le associazioni ritengono ingiustificato. Alcune hanno addirittura invitato le aziende a non rispondere al sondaggio lanciato dall’Autorità per ottenere informazioni sulle loro attività…
L’ART è un’autorità di regolazione, ma non può regolare l’autotrasporto, perché si tratta di un settore abbondantemente deregolamentato. Lo stesso fatto che per ottenere il contributo dalle nostre aziende abbiamo dovuto inserire nel decreto legge per la ricostruzione del Ponte Morandi di Genova una norma ad hoc per obbligare al pagamento le imprese di autotrasporto che utilizzano quelle infrastrutture che sono regolate, conferma che le nostre imprese non sono regolate. È assurdo perciò che, ciononostante, debbano pagare il contributo. Peraltro, prima di questa norma i nostri ricorsi sono stati tutti accolti dal TAR. Il fatto è che l’ART è un’autorità che vuol fare più di quello che, secondo noi, la legge istitutiva le consente. Perciò noi siamo assolutamente contrari al contributo e abbiamo chiesto al ministro una legge che faccia chiarezza, abrogando la norma contenuta nel decreto Genova. Quanto al non rispondere al sondaggio, non so se sia una scelta corretta. Se c’è una legge, anche se non la condividiamo (e non la condividiamo) e la riteniamo sbagliata (e la riteniamo sbagliata), è comunque un obbligo e non rispettarlo potrebbe mettere in difficoltà le imprese.

Nel suo discorso d’insediamento c’è una critica implicita all’autonomia differenziata. Lei è un meridionale. Cosa teme per il mondo dei trasporti?
Quello che mi preoccupa di più riguarda soprattutto la programmazione degli investimenti nelle infrastrutture. Se con l’autonomia differenziata – come alcune Regioni chiedono – si dovesse trasferire la competenza sui porti, noi avremo un bel problema, perché sarebbe l’opposto di quello che tutti abbiamo sempre detto, cioè della necessità di un coordinamento delle attività di investimento nelle diverse autorità portuali. Così, invece, rischieremmo una competizione fra porti che distano solo qualche centinaio di chilometri e una regolamentazione sulle concessioni portuali diversa per ogni Autorità. Potremmo, cioè, trovarci di fronte a piani regolatori dei porti che rispondono a logiche e leggi diverse, creando un quadro di frammentazione che non gioverebbe al sistema di trasporti e, di conseguenza, nemmeno all’autotrasporto che, come si sa, nei porti lavora e lavora tanto.

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