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Redaelli, CEO Gruppo SBG: «Diversificazione e biocarburanti: la nostra strada sostenibile»

La società di Fidenza, leader da quasi 70 anni nel trasporto di carburanti, oggi con un processo di decarbonizzazione in corso apre anche ai liquidi alimentari e ai pulverulenti per diversificare la propria attività in segmenti di mercato a maggior potenziale di crescita. In più, sempre in un’ottica di sostenibilità si affida ai biocarburanti come l’HVO o il bioGNL per raggiungere nel 2040 l’obiettivo di tagliare del 90% le proprie emissioni

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La sfida della transizione ecologica è di per sé impegnativa, ma per alcune tipologie di aziende lo è a maggior ragione. Prendiamo per esempio il caso di chi opera nel trasporto petrolifero e quindi deve affrontare, per così dire, una sfida alla potenza: quella di decarbonizzare le proprie emissioni e quella di gestire il progressivo ridimensionamento sul mercato dell’oggetto del proprio trasporto, costituito dal carburante – di origine fossile – con cui alimenta anche i propri veicoli. In che modo si esce “puliti” da questa situazione? Lo abbiamo chiesto a Filippo Redaelli, CEO di SGB, gruppo leader – non soltanto a livello nazionale – nel trasporto di carburanti e forte di una tradizione di lunga data.

Filippo Redaelli, CEO del Gruppo SBG

È il 1948 quando Remo Bertani, padre dell’attuale presidente Silvio, fonda un’azienda che decide di operare nel trasporto dei prodotti petroliferi. Nei vent’anni successivi, in parallelo alla diffusione progressiva della motorizzazione nel paese, la Bertani cresce e, nel 1988, tramite una serie di joint ventures paritetiche con diverse società petrolifere (Eni, Api, Erg, Fina ecc.), conquista un ruolo rilevante all’interno del panorama italiano del settore. Quindi, siccome queste società erano presenti anche all’estero e anche lì necessitavano di servizi di trasporto, Bertani le segue ed estende le attività fuori dalla Penisola: nel 1992 entra nel mercato spagnolo, nel 2013 in quello del Regno Unito, nel 2015 in quello francese. In tutti i casi la modalità di accesso passa sempre dall’acquisizione di locali società di trasporto, attive nello stesso settore.

Res Data – è questa il nome della società – è un po’ il fiore all’occhiello dei nostri servizi e serve a integrare l’attività digitale di supporto alle attività logistiche e di trasporto. Di fatto ha creato una serie di piattaforme per la pianificazione e la gestione dei depositi, per il routing e per altre funzionalità utili sia al gruppo, sia ai nostri clienti. E questo ricorso a un medesimo sistema informatico anche in diversi paesi ha reso più omogeneo e più agevole la gestione e ha generato ritorni anche in termini di fidelizzazione della clientela.

Le politiche di decarbonizzazione, già in anni precedenti al Covid, avevano messo in crisi i tradizionali business legati al gasolio, ma in quella stagione la diminuzione di fatturato divenne più netta. Quindi, per rispondere a questo arretramento importante delle attività, il gruppo decide di cambiare strategia. È in quel momento, nel 2021, che entro in azienda e faccio mio questo progetto di trasformazione che è ancora in corso.

Già nel 2022 abbiamo iniziato a differenziare la tipologia dei prodotti da movimentare. Esemplare, in tal senso, il nostro ingresso nel trasporto di liquidi alimentari, sia in Italia che in Spagna, tramite l’acquisizione di due società, la Feccia Fratelli di Casalpusterlengo e la Cisternas Germans Navarro di Barcellona. E in questo caso l’attività include non soltanto il trasporto, ma anche i servizi certificati di lavaggio e di pulizia delle cisterne alimentari, forniti anche a terzi. Inoltre, abbiamo rinforzato il trasporto di pulverulenti (in particolare, prodotti per le costruzioni edili), attività già intrapresa nel 2015 tramite l’acquisizione di una società in Francia e che lo scorso anno abbiano allargato rilevando un’analoga realtà in Scozia. Siamo in trattativa per altre operazioni, ma per ora è prematuro parlarne. A questo punto, quindi, il gruppo poggia su tre pilastri: il petrolifero, i liquidi alimentari e i materiali pulverulenti. 

Fino a pochi anni fa il nostro fatturato era generato al 100% dal petrolifero. Adesso, non soltanto registriamo una crescita del giro d’affari complessivo, ma un 20-23% è assorbito dalle altre attività. L’obiettivo è quello di arrivare da qui a cinque anni a restringere la quota del petrolifero al 50% e di affidare l’altro 50% alle nuove attività.

La scelta di puntare su alimentare e pulverulenti deriva dal fatto che sono prodotti di specialità, che possono essere trasportate, a differenza di quanto avviene per esempio nel collettame, sulla base di conoscenze specifiche. E poi parliamo di mercati – l’alimentare come le costruzioni – segnati da scenari predittivi tutt’altro che critici. A tutto questo, poi, va aggiunto un effetto taglia, nel senso che come holding forniamo servizi alle varie consociate, così da ottimizzare, con l’utilizzo dei sistemi informatici, le nostre competenze a livello centrale e creare maggiore massa critica. Una precondizione per generare quelle economie di scala che nel tempo dovrebbero pagare anche in un’ottica di sostenibilità economica.

Il Gruppo si articola in 16 società, con portafoglio diviso per il 37% in Italia, il 30% in Gran Bretagna e circa 16-17% in Francia e Spagna. Stiamo guardando a ulteriori attività da implementare in altri Paesi europei, proprio per consolidare questa strategia.

È ovvio che se l’Europa, invece di puntare esclusivamente sull’elettrico, aprirà ai carburanti bio, fornendo cioè un’alternativa pulita al diesel tradizionale, credo che per noi ci saranno parecchie opportunità da sfruttare. Già attualmente abbiamo aperto nuove linee di business, come per esempio il trasporto del bioGNL, da utilizzare nel trasporto marittimo e per alimentare veicoli pesanti. Inoltre, partecipiamo come soci a una società di gestione di quattro impianti di produzione di bioGNL. È un business a cui crediamo molto, anche perché in Italia ci sono 160 impianti di distribuzione. A questo, poi, abbiamo affiancato l’utilizzo dell’HVO, altro carburante alternativo la cui produzione è molto presente in Italia. Con queste azioni siamo in linea con il target che ci siamo dati, quello di ridurre entro il 2040 le nostre emissioni del 90%. Voglio precisare che, al momento attuale, parliamo di scelte obbligate, perché i veicoli elettrici non sono ancora omologabili per i trasporti in ADR. Ma è chiaro che se l’Europa dovesse decidere diversamente, se dovesse confermare come esclusiva la scelta dell’elettrico, bisognerà adattarsi.

Secondo i nostri calcoli una decarbonizzazione fatta soltanto con l’elettrico potrebbe portare a una teorica riduzione del 100% delle emissioni, ma comporterebbe pure, per trasformare una flotta come la nostra, di più di mille camion, un forte impatto finanziario addizionale rispetto a quello che attualmente investiamo per il rinnovo della flotta, pari a circa 18-19 milioni di euro all’anno. E poi ci sarebbe un impatto in termini di costi sociali, prodotti da un incremento delle tariffe per il servizio di trasporto di circa il 30-40%. In pratica, al 2040 le nostre tariffe aumenterebbero del 40% solo per effetto dell’elettrificazione della flotta. L’alternativa HVO o bioGNL porterebbe a un investimento iniziale addizionale pari a zero o quasi (nel senso che siamo consapevoli che difficilmente l’HVO potrà rimanere agli attuali livelli di prezzo) e le tariffe di trasporto subirebbero un aumento molto più contenuto.

È un passaggio delicato; come andrebbe gestito?

In ogni caso la transizione non sarà gratis. Avrà un costo e non possiamo essere soltanto noi vettori a farcene carico. Di conseguenza, tutto va gestito tramite un processo integrato che dal fornitore porta fino al cliente. Noi siamo una parte di questo processo, ma se dobbiamo battere la strada più onerosa – quella dell’elettrico – ci sarà bisogno di incentivi pubblici, di sostegni da parte del sistema bancario, di un supporto di un qualche tipo. Senza questi sussidi, non è scontato che tante aziende ce la facciano ad affrontare la transizione.

C’è molta pressione. Siamo già inseriti in una serie di processi e già a fine 2025 verremo sottoposti ad audit da parte di società petrolifere per verificare se alle dichiarazioni di intenti seguono reali azioni concrete nell’ottica della decarbonizzazione. In quanto vettori che trasportano prodotti per loro conto, in quanto parte integrante delle loro emissioni, siamo convolti nello Scope 3 di queste società. Ed essendo loro soggetti obbligati, noi lo siamo di riflesso. In genere, i grandi player sono sensibili a riconoscerci il costo di questa transizione, ma non tutti lo sono. Quindi, il problema esiste, ma per ora riusciamo a gestirlo in modo graduale. Ma se tale gradualità venisse meno, allora bisognerà trovare un diverso equilibrio tra noi e i committenti.

FT XD 450 con cisterna per trasporto carburanti

Noi abbiamo due tipologie di fornitori. Da una parte ci sono i subvettori, una costola fidelizzata delle nostre attività che sono in genere padroncini o piccole aziende trattati alla stregua della flotta SBG, nel senso che rispettano le stesse regole e seguono gli stessi iter. Come società forniamo loro informazioni, li monitoriamo con software all’interno del nostro panel, facciamo in modo che possano accedere alle stesse condizioni di fornitura rispetto ad alcuni prodotti. Siccome poi questa tipologia aziendale spesso non riesce a farsi carico dell’attuale processo di cambiamento, laddove qualcuno decide di cessare l’attività noi tendiamo a integrarli all’interno. Anche perché abbiamo bisogno di garantire servizi di trasporto e di autisti disponibili, in particolare nel mondo Adr, ce ne sono sempre meno. Dall’altra parte ci sono i fornitori più strutturati a cui chiediamo una serie di documentazioni che attestino la riduzione delle emissioni. Perché su quella base vengono poi selezionati.

Dal punto di vista dei consumi rispondono in maniera positiva. Anche se una risposta ottimale l’abbiamo riscontrata dal punto di vista del comfort percepito dall’autista. Sono stati i conducenti, cioè, ad apprezzare l’ampiezza e la comodità di queste cabine.

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