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Tutte le conseguenze economiche del blocco nel canale di Suez

La portacontainer Even Given continua a rimanere arenata nel canale di Suez bloccando navi e merci. Le prime iniziano a cambiare rotta, circumnavigando l'Africa (ma aumentando tempi e costi del viaggio). Tra le seconde compare il petrolio, soggetto a infiammate di prezzo. Intanto qualche compagnia assicurativa trema. E forse non soltanto loro...

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Il blocco del Canale di Suez, causato dall’incagliamento della nave porta container Ever Given lo scorso 23 marzo, nonostante gli sforzi di questi giorni per raddrizzare l’imbarcazione, non si è risolto. Diventa quindi urgente trovare soluzioni alternative. Così, mentre qualcuno studia nuove direttrici di traffico finalizzate a spostare il flusso delle merci su altre modalità di trasporto, le navi già in viaggio o addirittura in coda iniziano a deviare la rotta. E dal mar Rosso l’unica scelta possibile è quella di puntare verso sud, sul Capo di Buona Speranza, in Sudafrica. Ma allungare il tragitto ovviamente costa: chi circumnaviga l’Africa percorre circa 6.000 miglia in più e quindi spende in carburante una cifra vicina ai 300.000 mila dollari. Questo almeno il conto relativo a una superpetroliera che dal Medio Oriente deve giungere in Europa.
E poi c’è il fattore tempo: fare il giro dell’Africa richiede fino a 15-20 giorni in più di navigazione (7 o 8 giorni persi in maggiore navigazione e 8-10 dovuti ad attesa e scarico nei porti di destinazione che saranno ovviamente congestionati in quanto, essendo saltati tutti i calendari di viaggio, tutte le imbarcazioni giungeranno in modo ravvicinato) e quindi chi trasporta merci deperibili è un “lusso” che non può permettersi. Chi ha invece carichi di diversa natura e non ha vincoli di consegna (come nel caso di componenti necessari ad alimentare una catena di montaggio) ottiene in compenso il vantaggio di poter risparmiare sui costi di pedaggio imposti da Suez.

L’importanza del Canale di Suez

Dal canale di Suez passa circa il 40% dell’export marittimo italiano e il 12% del commercio marittimo mondiale.
Inoltre, secondo quanto riportato da Lloyd’s Listil blocco del canale costa al giorno l’interruzione di merci aventi un valore di oltre 9,6 miliardi di dollari, di 5,1 miliardi generati dal traffico diretto verso il Mediterraneo e l’oceano Indiano e 4,5 in direzione opposta. Tra queste merci c’è ovviamente il petrolio in partenza dalla penisola arabica e destinato a Europa e Nord America. Pensate che dal canale transita circa il 10% del greggio mondiale.
Ma oltre all’oro nero Suez ha visto passare anche 54,1 milioni di tonnellate di cereali, 53,5 milioni di tonnellate di minerali e metalli e 35,4 milioni di tonnellate di carbone solo nel 2019.

Conseguenze economiche

Restiamo al petrolio. Di tutto quello in transito, in questo momento sono rimaste bloccate, stando alle stime del Guardian, circa 10 milioni di barili. Se l’ingorgo dovesse continuare a lungo, molto probabilmente i prezzi del petrolio e di conseguenza di benzina e diesel, potrebbero aumentare velocemente.
Altri incrementi di costo interesseranno ovviamente quelle merci che, come detto, hanno dovuto – dovranno – affrontare un viaggio più lungo per giungere a destinazione.
Quello che invece è già aumentato è il costo delle spedizioni: per esempio, secondo calcoli di Refinitiv, il trasporto di carburante dal Mar Nero all’Italia è salito del 70% da quando il canale è stato bloccato. Più precisamente, il costo della spedizione di benzina e diesel è aumentato da 1,49 dollari al barile (stimato il 22 marzo) a 2,58 dollari al barile nella giornata di ieri.

Chi pagherà i danni?

Le conseguenze di una minore disponibilità di navi e quindi di approvvigionamento si fa già sentire sul mercato. I timori sull’aumento dei prezzi riguardano sia il costo delle materie prime sia un ulteriore innalzamento dei noli che avevano già subito un balzo dopo il primo lockdown, determinato dalla ripresa del commercio marittimo mondiale.
Ma in concreto chi potrebbe rispondere direttamente dei danni? Un po’ tutti. Ovviamente gli occhi di tutto il mondo sono puntati sull’armatore oltre che sulla compagnia assicurativa che potrebbero affrontare enormi richieste di risarcimento per i danni arrecati dal blocco delle navi nel Canale di Suez. Più in particolare il primo portafoglio su cui in molti tenteranno di rivalersi porta alla copertura assicurativa corpi nave (H&M) dell’armatore, destinata per lo più alle operazioni di salvataggio, mentre per il risarcimento di altri danni, a partire da quelli patiti dalle autorità del Canale, ci si indirizzerà alla copertura assicurativa per la responsabilità armatoriale (P&I).

Redazione
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La redazione di Uomini e Trasporti

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